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Ricette della Tradizione

Tortellini Bolognesi

Tortellini in brodo

Il Tortellino, famosissimo primo piatto emiliano, è il piatto che non mancherà mai sulle tavole di Natale delle zone tra Bologna e Modena. Ma dove e come è nato per davvero? E qual’è la vera originale ricetta?
Prima di rispondere a queste domande va detto che il Tortellino, nella tradizione popolare, richiama il Natale e le grandi riunioni familiari anche perché per la sua preparazione piuttosto lunga spesso viene coinvolta l’intera famiglia in una complicata catena di montaggio intergenerazionale. C’è chi tira la sfoglia, chi la taglia a riquadri, chi si occupa del ripieno e chi, con abilità sopraffina, lo chiude facendolo girare attorno al dito mignolo.

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Detto ciò, per sapere dove e come sia nato, innanzitutto bisogna chiedersi: verità o leggenda?
Infatti: se si è in cerca di leggende la storia è solo una. Giuseppe Ceri narra (parodiando il poema La Secchia Rapita del Tassoni) che Venere, facendo visita assieme a Marte e a Bacco alla locanda di Castelfranco Emilia (paese esattamente a metà tra Bologna e Modena per non far torto a nessuno), per un equivoco si fece sorprendere dall’Oste della locanda sdraiata a letto e tutta discinta. L’Oste ne fu così colpito che, soprattutto ispirato dalla visione del divino ombelico, corse in cucina e - in suo onore - inventò, appunto, il Tortellino.

La Storia con la “S” maiuscola e le fonti invece fanno risalire il gustoso piatto almeno al Medioevo: in una pergamena datata 1112 si legge infatti “Tertia pars turtellorum monachorum est” (la terza parte dei tortelli spetta ai monaci), mentre da una bolla di Papa Alessandro III del 1169 apprendiamo che una chiesa doveva assegnare “duas partes turtellorum”.

Tuttavia per trovare nei documenti il termine “tortellini” e arrivare alla ricetta canonica dobbiamo attendere fino XVIII e XIX secolo quando da un lato, per la prima volta, apprendiamo che nel menù del pranzo natalizio dei monaci di San Michele in Bosco campeggia una gustosa “minestra di tortellini”, e dall’altro lato Pellegrino Artusi fissa la ricetta del ripieno nel suo capolavoro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.

E per la ricetta ufficiale? Poichè come spesso capita per le ricette più diffuse e di tradizione più antica, ogni contado e ogni famiglia ha una sua variante specifica, per non far torto a nessuno qui si riporterà la Ricetta del Tortellino depositata dalla Dotta Confraternita del Tortellino presso la Camera di Commercio di Bologna.

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Tortellini in bordo - La ricetta

Ingredienti
pasta fresca gialla preparata con 3 uova e 3 etti di farina;
per il ripieno: 300 gr. di lombo di maiale rosolato al burro, 300 gr. di prosciutto crudo, 300 gr. di vera Mortadella di Bologna, 400 gr. di formaggio Parmigiano-Reggiano, 3 uova, 1 noce moscata.
per il brodo: 1 kg di carne di manzo (doppione); 1/2 gallina ruspante; sedano, carota, cipolla, sale

Procedimento
Preparare il ripieno dei tortellini macinando molto finemente la carne e incorporarvi le uova, il Parmigiano, la noce moscata. Il composto così preparato va lasciato riposare almeno 12 ore in frigorifero.
Preparare il brodo mettendo la carne e la mezza gallina in una pentola con 4 litri d’acqua fredda e portarla ad ebollizione, quindi togliere con la schiumarola la schiuma formatasi sull’acqua, aggiungere le verdure, aggiustare di sale e fare bollire molto lentamente per almeno 3 ore.
Preparare i tortellini stendendo la pasta sul tagliere di legno con il matterello fino a renderla molto sottile, tagliare dei quadretti di circa 3 centimetri di lato, al centro di ogni quadratino collocarvi una noce di ripieno, quindi piegare la pasta a triangolo facendo combaciare i lati, piegare il triangolo così ottenuto girandolo attorno al dito e sovrapponendo i due angoli opposti, premere il tortellino in modo che la pasta si attacchi saldamente e il tortellino rimanga in forma. Man mano che saranno pronti riporli su un ripiano.
Scolare il brodo dalla carne e portarlo di nuovo ad ebollizione, poi tuffarvi i tortellini piano piano e lasciarli cuocere a fuoco medio per almeno 3/4 minuti, prima di servire caldissimi con abbondante Parmigiano grattugiato al momento.

Cappelletti in brodo

Cappelletti in brodo

Sono l’immancabile piatto della festa e simbolo del Natale in tutta la Romagna. Apparentemente simili al cugino tortellino, ma profondamente diversi per forma e compenso (così viene chiamato infatti il ripieno), i cappelletti (rigorosamente serviti in brodo fumante) vengono tradizionalmente preparati dall’intera famiglia durante la vigilia dei giorni di festa.

Ne esistono essenzialmente di due tipi: i cappelletti con composto di solo formaggio o i più tradizionali che prevedono anche il macinato misto di carne.

Il nome deriva molto probabilmente dalla forma tipica che ricorda quello di un cappello appunto… e probabilmente proprio quello in uso presso il clero che l’ironia popolare faceva particolarmente ghiotti di questa pietanza!

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Anche il brodo per i cappelletti è in realtà una tradizione e va fatto con precisi tagli di carne bovina, suina (qualcuno inserisce infatti anche un bel pezzo di cotechino) e l’immancabile cappone romagnolo. Tutta la carne va immersa direttamente in acqua fredda assieme agli odori e a una bella crosta di formaggio, lasciandola bollire per svariate ore.

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Cappelletti in brodo - la ricetta:

Ingredienti per 4 persone
100 gr. di formaggio molle, stracchino o squaquerone
oppure per la versione di carne
200gr di macinato misto
150 g. di ricotta
150 gr. di parmigiano
3 uova
scorza di limone
noce moscata

Preparazione Predisponete insieme i formaggi, grattugiatevi sopra una scorza di mezzo limone e poca noce moscata (se è troppa da fastidio) ed impastate con le uova.
Prendete la sfoglia e fatene dei quadretti di circa tre centimetri di lato. Ponete con una forchetta una punta di ripieno nel mezzo del quadretto, piegate in diagonale in modo da ottenere un triangolo quindi prendete i lembi della base ed uniteli sovrapponendo le loro punte e stringendo con forza. Viene fuori un cappelletto, appunto.

Fonte: riviera.rimini.it

Cotechino

Zampone e Cotechino

In certe zone dell’Emilia-Romagna, soprattutto nel Modenese, non c’è Natale e Capodanno senza Zampone e Cotechino. E questo vale soprattutto per quanto riguarda l’atteso cenone di San Silvestro per il quale rappresentano un vero e proprio must.

Salumi da servirsi cotti a base di carni di suino, sia lo Zampone che il Cotechino hanno una genesi più che certa. La tradizione vuole, infatti, che proprio a Mirandola nel rigido inverno del 1511 gli abitanti, stremati dall’assedio di Papa Giulio II della Rovere e a corto di cibo, iniziassero ad insaccare cotenne e varie carni di maiale dentro a budelli e zampe di suino.
Oggi la ricetta che varia a seconda del salumificio che la produce è rimasta comunque pressochè invariata e prevede: testa di maiale, gola e spalla con aggiunta di spezie e sale.

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Come detto per tradizione lo zampone o il cotechino sono d’obbligo per un cenone di Capodanno che si rispetti, soprattutto se consumati con le famose lenticchie portafortuna.

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Uova (sode) Benedette della mattina di Pasqua

Può far sorridere, ma è una tradizione molto sentita in gran parte delle zone rurali della Romagna e talvolta anche dell’Emilia. Le uova sode benedette, infatti, non possono mancare sulla tavola della colazione pasquale in molti paesi della regione.

La preparazione è molto semplice e per gran parte ci pensa la gallina… Una volta scelte in latteria o direttamente nel pollaio (un uovo rigorosamente per ogni partecipante alla colazione pasquale) le uova vengono lavate e pulite, quindi bollite e - spesso e volentieri - anche decorate.

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Riposte in comodi cestini di vimini agghindati a festa, la vigilia di Pasqua vengono portate in chiesa per essere benedette e per poi essere mangiate la mattina successiva in segno augurale.

Un tratto curioso della tradizione è il fatto che in molti si ricorderanno come da bambini l’usanza sembrasse davvero una piccola tortura: davanti ad ogni ben di dio e alle uova di cioccolato, dover per forza mangiare prima un uovo sodo (o almeno una metà… sennò la nonna ci rimane male perché porta bene!) appariva davvero un dispetto!

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Uova Sode Pasquali
Piada dei morti

La piada dei morti

La Piada dei Morti è uno dei dolci più gustosi della tradizione romagnola. Ha ben poco a che fare però con la “piada o “piadina”, assomigliando più che altro ad una focaccia dolce guarnita di frutta secca e uva sultanina.

Qualche ricetta arricchisce il suo impasto anche con del mosto, non a caso questo dolce da forno lo si trova solo ed esclusivamente tra il mese di ottobre e i primi di novembre in concomitanza, quindi, con la campagna vinicola e l’imbottigliamento del vino nuovo.

Secondo alcuni la sua origine si perderebbe nella notte dei tempi e addirittura farebbe riferimento ad un’antica tradizione celtica legata al culto de morti. In questa leggenda il prezioso dolce veniva preparato la notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre di ogni anno (il capodanno per la cultura celtica) per essere usato come vero e proprio catalizzatore delle anime vaganti e, in definitiva, anche per prendere per la gola i propri cari defunti che attirati dal dolce pensiero per una notte si riavvicinavano ai loro parenti.

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Al di là della leggenda di dubbia origine e veridità, oggi in Romagna è il dolce tipico della festa di Ognissanti.

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La piada dei morti - la ricetta

Ingredienti:
250 gr. di farina
25 gr di lievito di birra sciolto in un pò di latte tiepido
50 gr. di zucchero
uva sultanina a piacere
un pizzico di sale
3 uova intere
50 gr. di burro fuso
una manciata di noci sgusciate, una di mandorle e una di pinoli.

Procedimento
Alla farina disposta a fontana sul tagliere, aggiungi il lievito di birra, lo zucchero, un pizzico di sale, 2 uova, il burro e l'uva sultanina; impasta bene, poi poni il tutto in una terrina e lascia lievitare per 2-3 ore.
Quindi stendi l'impasto in una teglia e lascia ancora lievitare per circa un'ora.
Ricopri con le noci, le mandorle ed i pinoli; spennella il tutto con un uovo intero, appena mescolato con un pò di zucchero.
Cuoci in forno già caldo a 200 gradi per circa 30 minuti.

Fonte: riviera.rimini.it

 

Le Cantarelle

Le Cantarelle

Le cantarelle sono dolci della tradizione più povera e contadina tipiche di alcune zone della Romagna. Anche se poco conosciute meritano davvero attenzione, perché con poco (acqua, farina, sale, zucchero e olio EVO) e con semplicità risultano essere la versione romagnola e vegana (non contengono né uova né latte) dei più famosi Pancake.

Tradizionalmente legate alle colazioni o merende dei giorni domenicali la loro preparazione è davvero facile e il successo assicurato. Perchè vengano alla perfezione è però necessario avere in casa il caratteristico testo per la Piada Romagnola (in alternativa si può utilizzare una padella antiaderente).

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Anche se la guarnitura originale prevede semplicemente una colata di olio extravergine d’oliva e di zucchero, sono gustosissime anche con il miele e marmellata, con un filo di sciroppo d’acero o arricchite con frutti di bosco, amarene cotte e quant’altro di dolce la fantasia propone.

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Le Cantarelle - la ricetta:

Ingredienti
500 gr di acqua
500 gr di farina
1 pizzico di sale
Olio extravergine di oliva per la guarnitura q.b.
Zucchero per spolverizzare q.b.

Procedimento
In una ciotola amalgamare l’acqua tiepida e la farina con un pizzico di sale fino a che si crea una pastella omogenea. Fate riposare per mezzora la pastella appena creata e intanto mettete sul fuoco una teglia. Quando la teglia sarà ben calda versare la pastella con un mestolo per formare tanti piccoli dischi. Man mano che i dischi saranno rosolati da entrambe i lati, riponeteli su un piatto da portata servendoli conditi con olio e una spruzzata di zucchero.
Le cantarelle sono ovviamente ottime anche con miele, marmellata e ...crema di nocciola o cioccolata!

Pagnotta Pasquale di Sarsina

Pagnotta di Sarsina – Cammino di San Vicinio

Tipico dolce di Sarsina e dintorni, presente anche sulle tavole dei più poveri, simbolo della festività Pasquale. Le“azdore” cominciavano a prepararlo sin dalle Sacre ceneri con un lungo ed attento rituale che iniziava al calare della sera della settimana Santa. La pagnotta, una volta cotta, era tolta dal forno e lasciata raffreddare sopra l’asse del pane, poi chiusa nella madia fino al giorno di Resurrezione. Nel passato nel giorno di Pasqua, al ritorno della Messa, la famiglia riunita attorno alla tavola imbandita accoglieva il fiore della primavera, in comunione con le uova sode benedette, salame stagionato e Sangiovese. Oggi la tradizione continua nella realizzazione della Pagnotta, che è ancora sottoposta a tre fasi di lievitazione, in cui viene ancora impresso il simbolo della croce. E’ ancora mangiata la mattina di Pasqua con gli stessi accostamenti. Il prodotto è realizzato ancora nella sua forma di cupola, da peso di due chili ( forma tradizionale), ma oggi è realizzata anche quella dal peso di un chilo.

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A Sarsina il pane dolcificato dei padri si fa ancora presso i fornai locali.

Questa è la ricetta tradizionale, pubblicata da Vittorio Tonelli nel suo libro "A tavola con il contadino romagnolo"

- due chili di farina di grano;- uno di pasta lievitata;

- sette etti di zucchero;-un etto mezzo di strutto (o margarina);

- dieci uova;-buccia grattugiata di due o tre limoni;

- due bustine di vaniglia;-un pugno di lievito di birra;

- un pizzico di sale e, volendo, dell'uva secca.

L'impasto, a forma di cupola, si lascia lievitare ore e ore, in attesa della cottura, che dovrà avvenire a fuoco lento, nel forno, sopra fogli di carta straccia. Prima, però, va "pennellato" con uova sbattute e superficialmente tagliato in alto perché abbia a "fioccare" bene. A cottura ultimata (dopo un'ora circa), la pagnotta si presenta nella sua profumata mole marroncina, alta venti centimetri e con un diametro base di quaranta. Un momento delicato e importante è quello ella lievitazione, che necessita di un ambiente caldo a temperatura costante.

 


Fonte “Gustando. Storie di Romagna” – Pro Loco di Sarsina e- Cammino di San Vicino

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Dolci di Natale - Tortellini fritti e al forno

Dolci natalizi ripieni con crema pasticcera, marmellata, o con il tradizionale pasto natalizio a Reggio Emilia. I tortellini di Natale al forno o fritti (Turtlein d’Nadel al foren o frett) sono un dolce tipico della tradizione reggiana, che deriva addirittura dalla cucina rinascimentale, caratterizzata dall'unione dell’agro e del dolce. Sono ripieni di crema pasticcera, marmellata, o di pesto natalizio, uno squisito ripieno fatto di marmellate, castagne, noci, pinoli, caffè in polvere, rum o sassolino), conosciuti soprattutto nel reggiano e nel modenese.

Fonte: Via Matildica del Volto Santo – Comune di Vezzano Sul Crostolo

 

Tortellini fritti e al forno (dolci)

Tortellini fritti al Forno - La ricetta

Ingredienti

per la pasta: 
500 g di farina
150 g di zucchero
50 g di burro
1 bustina di lievito per dolci
2 uova
1 bicchierino di liquore Sassolino
per la crema: 
6 cucchiai rasi di farina
6 cucchiai colmi di zucchero
6 tuorli
½ l di latte
buccia di limone o vaniglia

 

 

 

 

Preparazione

Preparate la pasta mescolando tutti gli ingredienti sulla spianatoia e lasciatela riposare 2 ore in frigorifero. 
Nel frattempo preparate le crema versando in una casseruola i tuorli delle uova, lo zucchero e la farina. Versare lentamente il latte continuando a mescolare. Ponete la crema sul fuoco a fiamma moderata e, sempre mescolando, fate addensare. A piacere, aromatizzate con la vaniglia o con la buccia di limone e fate raffreddare. 
A questo punto potete preparare i tortelli, usando l'apposita rotella o gli stampini, e cuocerli in forno, posti su una placca imburrata e cosparsa di pangrattato o friggerli in olio bollente, due o tre tortellini per volta. Serviteli ricoperti di abbondante zucchero al velo.
In alternativa i tortellini si possono farcire con la marmellata oppure con il pesto natalizio. Il pesto si prepara mescolando marmellate varie insieme a pinoli, uva sultanina, cacao, mostarda. Ogni pesto varia a seconda della padrona di casa. Oggi è venduto anche nelle drogherie e nelle rivendite di alimentari.